Quando la grammatica è una canzone dolce

di Maria Piscitelli | del 04/06/2012
Quando la grammatica è una canzone dolce




Da anni la grammatica è indicata da intellettuali e addetti ai lavori come la panacea. Se i giovani non sanno scrivere, leggere e parlare è perché non conoscono le regole grammaticali. ”A scuola, si fa poca grammatica”, si ripete in più luoghi, richiedendo di farne di più. La grammatica cui si fa riferimento è quella tradizionale, la grammatica della frase, da trattare a sé, in maniera sistematica (per lo meno 1h settimanale).


Ciò incoraggia i docenti a svolgere una quantità maggiore di contenuti grammaticali, che finiscono per installare nella mente di chi impara “etichette terminologiche destinate a conservare il loro alone di mistero per tutta la vita del malcapitato discente” (Altieri Biagi, 1994, p. 89). Gli obiettivi delle stesse Indicazioni nazionali per la scuola di base assecondano, seppur in parte, questa direzione, proponendo quasi tutta la morfologia e la sintassi. Ne consegue che i ragazzi non dispongono dei tempi necessari per padroneggiare i concetti sottesi alle regole, né tanto meno si interrogano sugli oggetti linguistici incontrati, cercando di scoprire i meccanismi che li governano. La procedura che seguono è ben lontana da quella del grammatico, che osserva ed esplora i fenomeni, li studia e li rivisita in condizioni e tempi diversi, formula ipotesi e le controlla, falsificandole o confermandole per poi formalizzarle. La generalizzazione e la loro traduzione in norma avvengono sulla base di indagini scientifiche sperimentali e non in modo assiomatico. Mentre il punto di partenza di gran parte dell’insegnamento metalinguistico è proprio l’assioma. Ciò fa sì che molti ragazzi concepiscano la grammatica come un insieme di regole su cui esercitarsi. È quindi naturale che non avvertano l’esigenza di indagare i processi comunicativi e i tratti linguistici che li connotano. Individuano e applicano regole, rispondendo a quesiti del tipo:

 

 Quante sono le possibili congiunzioni coordinative della lingua italiana? Quali sono le altre forme di congiunzioni? Quale tra queste frasi non contiene un complemento di sostituzione? Quali tra queste frasi non contiene un complemento distributivo? Quale tra queste frasi non contiene un complemento di esclusione? (Indire, Puntoedu,Digiscuola, 2007).

 

Si tratta di richieste tese a controllare quello che l’alunno dovrebbe sapere, dopo aver ascoltato la spiegazione dell’insegnante. Quando invece dovrebbe essere sollecitato a riflettere e a problematizzare, allenandolo alle ipotesi e a sciogliere dubbi. “Non importa se le risposte non sono risolutive, sarà l’insegnante a discutere con gli alunni i gradi di accettabilità, facendo intravedere la plausibilità delle soluzioni” (Altieri Biagi, 2009, p.21). Appare perciò quasi inevitabile che lo studente non arrivi a cogliere rapporti e funzionamenti linguistici nei testi; la sua abilità consiste soprattutto nel costituire repertori di fenomeni, stilando liste di nozioni e attribuendo definizioni, senza individuarne la valenza concettuale.

Pertanto i nostri alunni non conoscono la grammatica perché ne fanno troppa e male e non tanto perché ne fanno poca. Quella affrontata raramente è preceduta da un’approfondita e continua riflessione linguistica, ingrediente primario per lo sviluppo di competenze grammaticali. In assenza di quest’ultima difficilmente l’insegnamento grammaticale può contribuire alla realizzazione della scuola per competenze.

                Ma quando parliamo di riflessione sulla lingua, cosa intendiamo? Quali sono le implicazioni e le condizioni per realizzarla? A quale modello grammaticale ci riferiamo? Con quale criterio preferiamo l’uno o l’altro?  Leggi tutto in " Lend, Lingua e nuova didattica", n.1, Febbraio 2012 oppure in questo sito a Contributi teorici, Abilità linguistiche, Riflessioni sulla lingua.