L'ascolto

di Benedetta Pazzagli | del 11/01/2013
L'ascolto

 

Al rientro dalle vacanze scolastiche natalizie, vengo accolta nella casa famiglia dove svolgo il mio tirocinio di specializzazione in psicoterapia da una delle ragazze ospiti di tredici anni, che mi chiede incuriosita: “Perché fai la psicologa? Cosa fa la psicologo di utile?” Attendo qualche istante, la guardo e sorrido, poi dico semplicemente “Lo psicologo ascolta…”; “Allora - continua lei -  io voglio venire da te, perché anch’io ho bisogno di essere ascoltata!”

Sembra che una paziente adolescente di Freud, a lui portata dalla madre nel suo studio londinese, fosse da lui “guarita” in una sola seduta: quando un giornalista, molti anni dopo, le chiese di raccontare quella singolare esperienza, lei espresse più o meno lo stesso concetto della nostra ragazzina, dicendo :  “Mi ha guarita ascoltandomi, perché nessuno fino allora mi aveva ascoltata così !” : il riconoscimento di Sé passa attraverso il riconoscimento delle proprie parole.

Mia intenzione non è certo qui quella di paragonarmi al Maestro, ma di far notare quanto prezioso sia un ascolto autentico e empatico: ascoltare è riconoscere la presenza dell’altro, riconoscere che esiste come “altro” da noi e che possiamo porci in relazione con lui come persona degna di valore, anche se non sempre ne condividiamo i pensieri o i comportamenti.

Anche Recalcati, in un suo recente contributo su Lacan, ci ricorda la dimensione dialettica della parola che si realizza attraverso l’ascolto dell’altro e riporta la distinzione lacaniana tra “Parola piena”, che restituisce un senso alla persona, e la “Parola vuota”o “troppo piena” che va dal “bla-bla” alla parola autoreferenziale, che non si arricchisce della soggettività dell’altro e quindi non è realmente  fondativa dell’identità.

 

Talora,nella fretta quotidiana e nelle mille cose da fare, possiamo  finire per dimenticarci che come esseri umani ci nutriamo principalmente di relazioni e quando queste sono povere, anche noi lo diventiamo: paradossalmente, mentre la vita media si allunga, non abbiamo più tempo per ciò di cui avremmo davvero bisogno!

Ieri,nella scuola secondaria di primo grado dove lavoro come insegnante, la bibliotecaria mi diceva: “Sembrano passate di moda le parole ‘ciao, buon giorno,come va?, grazie, a presto!’ Gli alunni e anche qualche adulto che entrano qui dentro, prendono ciò che a loro serve e se ne vanno…ma io esisto! Io ci sono! e talvolta sembra che nessuno se ne accorga! Così ho pensato di mettere fuori dalla porta  un cartello con scritto: Qui sono gradite le seguenti parole…. Che ne pensi?” Mi è sembrato che la collega avesse avuto una buona idea: ogni tanto è importante ricordarci anche ciò che pensiamo sia scontato.

Forse, una delle tante forme di mal-essere del nostro tempo è anche un mal-comunicare, poiché la comunicazione non è solo “bla, bla” appunto, ma esprime la relazione che intercorre tra quegli interlocutori ed  è uno dei primi segnali che indica che qualcosa tra loro funziona o non funziona.

Del resto, la buona comunicazione non è materia di studio né è richiesta tra le competenze di un  insegnante, educatore, genitore “sufficientemente buono”-  per usare la nota espressione winnicottiana -  eppure è un pre-requisito, mancando il quale, fallisce anche il miglior progetto educativo.

Il mio invito è, quindi, quello di fare maggiore attenzione al modo in cui comunichiamo, poiché ci dice molto su chi siamo e su come ci relazioniamo con gli altri: imparare a comunicare meglio, anche attraverso l’ascolto del feedback dell’altro, sia esso verbale o non verbale e migliorare la propria modalità di ascolto è un modo per migliorare la qualità delle proprie relazioni e anche la qualità della propria vita.

Non dimentichiamoci, infine, che per “imparare ad ascoltare” è necessario “imparare ad ascoltarsi”: il nostro corpo e la nostra mente sono in costante relazione  tra loro e ci parlano con un linguaggio che dobbiamo imparare a comprendere, anche attraverso quelli che chiamiamo “sintomi”, che spesso invece ci affrettiamo a rimuovere, senza pensare che anch’essi ci rivelano una parte di noi, altrettanto importante di quella che già conosciamo, rimasta per lungo tempo inascoltata.