Storie di vita: l'assenza, denominatore comune

di Benedetta Pazzagli | del 02/04/2013
Storie di vita: l'assenza, denominatore comune

Nel tempo in cui sono presente a scuola come insegnante, mi capita spesso, di recente, di raccogliere dai miei alunni storie di assenza: assenza di adulti - padri, madri, insegnanti- forse troppo occupati e  pre-occupati delle loro cose non risolte e presi dai ritmi frenetici del vivere, per potersi mettere in relazione autentica con l’altro.“Chi si ferma è perduto!”, recita il proverbio. A me sembra che a perdersi sia proprio chi non si ferma mai!

Quando poi veniamo richiamati  e qualcuno ci dice che forse è necessario fermarsi –magari per un colloquio con l’insegnante a scuola - la cosa ci imbarazza a tal punto che, non essendone più abituati, ci vengono mille pensieri… solo raramente pensiamo che le relazioni hanno bisogno di tempo per alimentarsi!

Come madri e padri, dal prossimo anno scolastico, con le pagelle on line, risparmieremo tempo non andando più a scuola, ma saranno  più povere le nostre relazioni con quegli insegnanti ai quali lasciamo i nostri figli tutte le mattine e che, forse, meriterebbero quel tempo più di altre cose.

Come docenti, l’incontro con un genitore non sempre è una occasione di scambio: per taluni è un impiccio, un dover rendere conto del proprio operato, che può mettere a disagio: anche questa è una occasione perduta.

Per costruire una relazione autentica occorrono alcuni ingredienti che oggi non vanno molto di moda: occorre tempo, pazienza, tolleranza della frustrazione, accettazione della persona dell’altro,  passione e dono.

 

I ragazzi a scuola si dis-velano a chi presta loro ascolto e dimostra interesse per le loro persone:lo fanno attraverso silenzi e sguardi, attraverso qualche gesto e qualche espressione del viso che non sfugge agli insegnanti più attendi; talora essi si raccontano con una semplice frase:

 

“Sono un topo da biblioteca, io, prof….del resto non saprei dove altro andare…i miei lavorano tutto il giorno ed io sono sempre solo…”

 

“Sa, prof, è stato il mio compleanno in settimana… mia madre è partita con il suo compagno… mi ha fatto gli auguri su skipe”

 

“Prof, lo sa che io l’uovo di pasqua non l’ho mai ricevuto? Non ci crede? E’ vero!”

 

Storie di solitudine, che mi colpiscono in profondità e mi danno dolore… Eppure, in questi racconti, riconosco anche un dono che i ragazzi mi fanno ed è principalmente questo dono che mi conquista e rinnova in me il desiderio di tornare in classe ogni mattina.

Vorrei solo avere un po’ più di tempo per ascoltare queste storie…in esse, mi colpiscono sempre, le  risorse inaspettate e le strategie intelligenti che i ragazzi trovano per far fronte alle situazioni più complesse: spesso si fanno genitori dei loro genitori e di se stessi e riescono a convivere con l’assenza, rimanendo leali verso mamma e papa’, di cui svelano “le ombre”, ma mai senza “le luci”. E come potrebbe essere diversamente? Anche quando viene violato, fisicamente o psicologicamente, il figlio mantiene col genitore un legame di lealtà molto forte.

 

Come psicologa, talora mi stupiscono delle risorse dei miei pazienti: del sintomo come risorsa, prima di tutto! Esso è ciò che di meglio il paziente è riuscito ad escogitare per adattarsi al suo contesto e riuscire a sopravvivere: per questo vale la pena di ascoltarlo, il sintomo, prima di ricacciarlo indietro con qualche farmaco!

 

Ogni mattina, uscendo di casa e poi per l’intera giornata, entro in contatto con diverse storie di vita: sono le storie di altri esseri umani che, come me, cercano conferma al proprio esistere nel mondo. Ogni gesto, sorriso,“carezza” come la intende E.Berne, possono essere un segno di riconoscimento reciproco, come a dirsi: “io esisto nel qui e ora, e tu esisti con me: è la nostra relazione che ci permette di esistere e, se autentica, “valuta”, cioè dà valore, alle nostre persone!”

 

La responsabilità di essere con gli altri, diversi ma con pari dignità, ci permette di colmare, almeno in parte, la solitudine esistenziale generata dall’assenza e sostituirle il calore umano di una vicinanza. Auguro ad ogni essere umano, ma soprattutto a chi ha scelto di svolgere un compito formativo e di aiuto alla persona, di ricordarlo sempre, per il benessere  proprio e altrui.